Del rapporto fra Roma e Scandinavia sul Monocolo ed il Monco

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  1. Lucumone Lars Porsenna
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    Del rapporto fra Roma e Scandinavia sul monocolo ed il monco


    Nei due casi la societá umana o divina, che si trova in un pericolo mortale, é salvata dall' intervento successivo di questi due personaggi.
    In scandinavia, gli Asi, constatando la rapida crescita del giovane Lupo che lo distruggerá, cercano per due volte di immobilizzarlo con lacci sempre piúrobusti che lui riesce facilmente a spezzare. É dunque tardi per far fronte al pericolo. Entrano allora in scena i due déi sovrani. Dapprima Óđinn, "il padre di tutto" (Allfather): in virtú del sapere che ha acquisito scegliendo di perdere un occhio, piú precisamente deponendo un occhio nella fronte di Mímir, egli dona agli Asi la formula di un materiale mai prima conosciuto. Occorrono, per questo, ingredienti di alta magia: egli invia un messaggero perché ordini agli elfi oscuri di mescoare sei cose: rumor di passo di gatto, barba di donna, radici di montagna, tendini di orso, voce di pesce e sputo di uccello. Risultato: un laccio sottilissimo, liscio e morbido come un filo di seta ma indistruttibile. Poi entra in scena Týr. Il Lupo é sospettoso e, come fosse un gioco, accetta di farsi cingere con questo laccio, che ha un' aspetto fin troppo inoffensivo, solo se uno degli déi caccerá un braccio nelle sue fauci, "quale pegno che non vi sará inganno". Nessuno fra gli déi si offre, l' unico volontario é Týr.

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    Il Lupo (Fenrir), preso in trappola, reso inoffensivo fino al Ragnarök, azzanna tuttavia il pegno che lo ha surrettiziamente convinto, gli déi sono salvi e da quel momento Týr sarà ein-hendr, monco.

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    A Roma, l' esercito dell' etrusco Porsenna si accinge ad assalire la Città. Interviene allora Orazio soprannominato Coclite, o il "Ciclope", perché in tempi passati perdette un occhio o perché i suoi occhi sembrano formarne uno solo. Non per magia né per scienza agisce (siamo tra i positivissimi quirites) ma per un ascendente ed una fortuna estremi. Nella rotta generale (Tito Livio, II, 10) egli si precipita alla testa del ponte attraverso cui si entra in Roma e che i Romani, approfittando di una tregua, stanno già demolendo. Dapprima sbalordisce i nemici con il suo prodigioso coraggio ("ipso miraculo audaciae obstupefecit hostes"), poi, rimasto solo davanti al ponte, volge sui capi etruschi sguardi terrificanti e minacciosi ("circumferes truces minaciter oculos"), ora sfidandoli uno ad uno, ora schernendoli tutti insieme. Per molto tempo nessuno osa reagire. Quindi i nemici fanno piovere su di lui un nugolo di giavellotti che si conficcano tutti nel suo scudo, mentre lui si ostina a presidiare il ponte muovendosi a grandi passi. Alla fine, quando gli Etruschi stanno per scagliarsi contro di lui, il ponte crolla e Coclite raggiunge a nuoto la porta passando incolume sotto una gragnuola di giavellotti. Il Ciclope ha cosí condotto tutto il gioco con le sue smorfie terrificanti che paralizzano il nemico e con una fortuna prodigiosa che lo ha reso invulnerabile. Roma dunque non é presa d' assalto, ma il pericolo che incombe su di lei resta mortale.

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    É ora la volta di Muzio - non ancora "Scaeuola", "il Mancino". Parecchie sono le variazioni ma tutte presentano lo stesso meccanismo (Tito Livio, II, 12; Dionigi di Alicarnasso, V, 29; Plutarco, Publicola, 17): Muzio penetra nel campo di Porsenna per ucciderlo, ma, non riuscendo nel suo proposito, alla presenza delre stende la mano destra sopra un braciere dicendo (con scambio di giuramenti: Dionigi) che trecento giovani romani sono pronti a tentare, ciascuno per proprio conto, l' impresa in cui lui ha fallito. Il timore e soprattutto l' ammirazione che queste parole, sostenute dal gesto, ispirano al re - "prope attonitus miraculo rex" - lo inducono a concludere la pace che salva Roma. Muzio é diventato monco.

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    Tra il leggendario mito nordico e la "storia" romana, che é solo stupefacente (Tito Livio dice per due volte "miraculo"), tutti i particolari sono diversi, compresa la forma di interazione dei due personaggi: in Scandinavia, Ođinn prepara "magicamente" il laccio che Týr riuscirà ad imporre al Lupo; nel corso dello stesso assedio Coclite impedisce che la Città cada nelle mani nemiche, prende tempo consentendo a Scaeuola di ottenere la pace che la salverà. Ma il meccanismo é lo stesso: Ođinn usa il sapere trascendente acquisito con la sua antica mutilazione, cosí come Coclite, che era guercio, terrorizza gli Etruschi con i suoi "truces oculi" (trattandosi di un monocolo, questo plurale non puó che riferirsi agli sguardi dell' unico occhio rimastogli), Týr a Scaeuola sacrificano il braccio come pegno della veracità di una dichiarazione falsa, che induce il nemico, in un caso a lasciarsi legare, nell' altro a rinunciare ad una vittoria sicura.

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    Anche la portata delle avventure é assai diversa nei due casi. A Roma ci sono solo illustri fatti di cronaca, che non hanno un valore simbolico dichiarato, né altro interesse fuorché la propaganda patriottica, né soprattutto altra conseguenza per i giovani che ne sono stati gli eroi se non gli onori conferiti loro una volta per tutte e quelle mutilazioni che, rendendoli inabili ad ogni servizioe magistratura, li faranno cadere necessariamente nell' oblio. In Scandinavia al contrario le due mutilazioni, ovviamente simboliche, sono quel che prima crea e poi manifesta paradossalmente l' attributo duraturo di cscuno degli déi, il signore del grande sapere ed il garante degli accordi, del Þing; esse sono l' espressione percettibile del teologema ereditato dagli Indoeuropei (Ariani), il quale fonda la coesistenza dei due déi maggiori, il che significa che l' amministrazione sovrana del mondo si divide in due grandi sfere, quella dell' ispirazione e del sortilegio, quella del contratto e della sottigliezza procedurale, o, per dirla in sunto, della magia e del diritto.

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    [...] Solo la letteratura di un altro popolo affine ai Germani ed agli Italici, l' epopea irlandese (celtica insulare) ha presentatato qualcosa di simile benché sensibilmente piú distante. Eppure l' affabulazione romana e quella scandinava sono troppo diverse perché si possa suppore un passaggio, un prestito diretto od indiretto dall' una all' altra: il prestito avrebbe infatti conservato il quadro delle scene con particolari pittoreschi tralasciando piuttosto il significato, il principio ideologico del doppio intrigo, mentre é proprio questo principio - il legame delle due mutilazioni e dei due modi di azione - che sussiste da una parte e dall' altra, in scene che per il resto non hanno piú alcun rapporto. L' unica spiegazione natutale, dunque, é pensare che Germani e Romani ricevettero dal loro passato comune l' idea di questa coppia originaria.
    Inoltre, poiché questa coppia ha piú valore quando opera sul piano mitico sorretto dalla teologia della sovranitá, é probabile che tale fosse sua forma primitiva e che Roma l' abbia riporta dal cielo alla terra, dagli déi agli uomini, fra i "suoi" uomini, nella sua storia gentilizia e nazionale: il duplice evento salvatore conserva un' importanza decisiva, ma non si pone piú agli arbori dell' universo, né nella società degli immortali, né per fondare una concezione bipartita dell' azione dirigente; si pone agli arbori della Repubblica, nella società dei Bruto, dei Valerio Publicola, degli Orazi, dei Muzii, e per suscitare attraverso i secoli, con esempi di abnegazioni straordinarie, nuove abnegazioni patriottiche.

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    FONTE: G. Dumezil, il Destino del Guerriero (studio della seconda funzione), pp. 63, 64, 65.



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